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<<O della notte visione manifesta dei sogni, come molto chiaramente a me svelasti i mali!>>

<<E proprio questo io dico di aver visto nella notte>>

Eschilo: I Persiani

 

Già Eschilo usava come artificio artistico nelle sue tragedie far narrare i sogni, allora considerati allegorici, profetici per condividere i timori, i turbamenti e le passioni che dalle visioni della notte derivano.

Come ne I persiani, dove la regina Atossa, che è anche madre, reclama il conforto del Coro per condividere i turbamenti che dalle visioni della notte le sono venuti: la disfatta del suo regno e al tempo stesso la salvezza del figlio.

È a Freud che dobbiamo l’aver strappato i “figli della notte” alla mistica del sogno per illuminare il legame tra il pensiero del sonno e quello della veglia.

I sogni, “la via maestra per l’inconscio”, hanno continuato ad essere oggetto di ricerca da parte degli psicoanalisti, accreditandosi come strumenti di rilevante valore scientifico nel consentire di oltrepassare la soglia del pensiero razionale, accedere attraverso la libertà del pensiero associativo ai conflitti inconsci e alla loro genesi. I sogni realizzavano i desideri inespressi, rappresentavano sulla scena soluzioni consolatorie per l’ansia di ignoto e di infinito, per lo “spaesante vivere ai margini del nulla” (Jankelevich 1995) della condizione umana.

I sogni diventavano però così inevitabilmente nella nostra cultura occidentale sempre di più patrimonio di specialisti che, all’interno di cornici scientifiche, sapevano leggere le dinamiche intrapsichiche inconsce dei pazienti: un pilastro portante di quella avventura umana che è il percorso psicoanalitico.

 

Ma come avveniva quel processo di trasformazione delle immagini dei sogni, pensieri-sogno (Bion 1962), in trame “disorganizzate”, che tuttavia potevano essere successivamente narrate ad altri acquisendo nel racconto senso e significato?

 

Quelle trasformazioni dei pensieri-sogno potevano essere “lette” solo da chi aveva esplorato nel suo trattamento psicoanalitico i suoi stessi conflitti, desideri, terrori e così poteva riconoscerli in altri.

Mentre la psicoanalisi valorizzava il sognare, i sogni e le loro “informazioni”, si andava però via via sempre più affievolendo l’interesse, la curiosità verso di essi.

Quel comune interrogarli che per secoli tante etnie, tribù, culture avevano praticato e ancora a volte praticano in lontane latitudini, quel sentirli come “figli” che dormivano ignorati nell’anima di tutti, che aspettavano di essere svegliati, ricordati, narrati, condivisi, quel loro essere custodi dei misteri dell’esistenza umana, dello sparire ogni sera e riaffiorare ogni mattina alla coscienza che solo in loro lasciava tracce, andavano perdendo senso nel  corso dello sviluppo, del “progresso” tecnologico, della cultura “del fare”.

Eppure Jung (1962) aveva illuminato le valenze collettive dei sogni, il loro contenere stratificazioni millenarie di culture e miti della storia dell’umanità, il patrimonio collettivo depositato  nell’inconscio.

Tuttavia (non senza un nesso di reciproca circolare causalità), contemporaneamente a questo processo di oblio collettivo, la psicoanalisi approfondiva lo studio della dimensione onirica, del funzionamento psichico degli individui, di come l’esperienza diurna lasciasse tracce nei sogni, di come l’esperienza notturna, registrata nei sogni, desse senso alla vita diurna.

Si indagava come si sedimentassero nell’inconscio collettivo (Jung 1962) le vicende, le storie, i miti raccolti intorno alle culture che riapparivano a dare senso ai sogni.

Nuovi orientamenti e sviluppi della psicoanalisi, che estendevano la cura psicoanalitica dall’individuo al gruppo, hanno fin dagli anni 30 del secolo scorso concettualizzato l’esistenza di una mente di gruppo diversa dalle menti dei singoli individui, una sorta di trama collettiva indifferenziata in cui gli individui erano nodi (Foulkes e Anthony 1957). Avevano quindi testimoniato, a partire dalla ricerca clinica, l’esistenza di un funzionamento psichico specifico del gruppo, delle istituzioni, del sociale, che influenzava inconsapevolmente il funzionamento individuale. Oggi nessuno più si meraviglia, tutti conosciamo quanto l’appartenenza ad un gruppo possa far mutare i comportamenti individuali (si pensi al capro espiatorio, al leader emotivo, ruoli di gruppo che scompaiono insieme con il dissolversi dell’aggregazione gruppale).

Ma il sognare sembrava continuare ad essere pensato come una funzione della mente individuale. I sogni continuavano ad essere sogni degli individui. Avevano però acquisito valenze gruppali, ora potevano essere letti anche come sogni di gruppo, come sogni relativi all’istituzione in cui il sognatore viveva e lavorava. Oggi è chiaro che esistono scambi profondi tra psiche sociale e psiche individuale (Bleger 1967, Kaës 1996, Rouchy 1987, Pines 1997, Amati Sas 1989), scambi sul registro dell’indifferenziazione e scambi più progressivi, proiettivi ed introiettivi. Scambi questi ultimi più facilmente interpretabili.

Che i sogni potessero essere “ri-sognati” collettivamente e dare luogo a sogni sociali come nel Social Dreaming era scoperta che solo di recente sarebbe stato possibile cominciare ad esplorare.

Negli ultimi decenni nuovi sviluppi culturali andavano restituendo ai sogni il loro valore sociale: non solo nel risuonare e rispecchiare ansie, preoccupazioni, desideri ed aspettative sociali depositate nel comune contenitore che è la cultura, ma anche per conoscere i processi che accompagnano le creazioni artistiche, le scoperte scientifiche, l’emergere di nuove idee.

I sogni sono così tornati a parlarci anche di vicende sociali, di un inconscio atemporale che a volte precede, a volte segue gli accadimenti che riguardano l’ambiente, il pianeta terra, il contesto culturale (Bion 1981). Ma per parlarci del mondo in cui viviamo, i sogni esigono che si dimentichi la storia personale di questo o quel sognatore, gli affanni e le felicità personali e si narrino offrendoli ad altri sogni evocati.

Siamo così arrivati a Gordon Lawrence, che nel 1982 viene folgorato dalla lettura de The Third Reich of Dreams (1968) della giornalista Charlotte Berardt, che aveva raccolto i sogni di circa 300 persone nella Germania nazista dal 1933 al 1939. I sogni rivelavano segnali inquietanti sul futuro della Germania ai quali i sognatori individualmente non avevano dato importanza. Collegando invece i sogni raccolti, attraverso le connessioni emerse si vedeva chiaramente che essi contenevano rappresentazioni di case con pareti che scomparivano, divieti assurdi ( <<è proibito annotare tutto ciò che ha a che fare con la matematica>>), personaggi in divisa militare, aquile che facevano irruzione nelle case mentre le famiglie erano a tavola e stavano conversando. I sogni rivelano consapevolezze inconsce del pericolo che la Germania stava correndo. I pensieri della notte svelavano quello che i pensieri del giorno non avevano ancora  registrato razionalmente.

 

Ed è proprio relativamente al tema della trasformazione delle esperienze emotive, impresse inconsciamente in noi fino a diventare comprensibili razionalmente, che è interessante la teoria di Wilfred Bion (1981). Bion situa l’esperienza emotiva proprio al centro del processo di significazione. L’esperienza emotiva nelle relazioni intersoggettive deve essere pensata e capita. Questo processo da un lato arriva a dare senso all’esperienza, dall’altro consente alla mente umana di crescere e svilupparsi.

La mente umana si sviluppa quindi sulla base delle acquisizioni e delle conoscenze su se stessa e sulle relazione con gli altri.

Assolutamente innovativo e originale è l’approccio bioniano alla ricerca sulla funzione del pensiero e quindi al sognare (che Bion riferisce sia al pensiero diurno che a quello notturno che produce sogni). Bion stesso, a proposito delle difficoltà che accompagnano il processo creativo, cita l’artificio adottato da Freud e da Freud stesso narrato.

Nella seconda delle sue conferenze brasiliane (1974), Bion cita infatti una lettera di Freud a Lou Andreas Salomè, nella quale questi scriveva che quando si trovava di fronte ad un tema oscuro trovava “illuminante affrontarlo rendendosi artificialmente cieco”. L’idea di accecarsi artificialmente, che è una posizione creativa, è un elemento chiave per la capacità di essere disponibili alla scoperta. (Bion 1974) Una tale posizione porta a quel tipo di insight originale e intenso “won from the void and formless infinite”, che accompagna le trasformazioni dei sogni.

Infatti Bion in Apprendere dall’esperienza (1962) colloca la funzione del pensiero nell’ambito del pensiero nascente. Egli sviluppa una teoria relativamente al processo che accompagna le trasformazioni delle nostre esperienze sensoriali ed emotive, processo definito dagli psicoanalisti di simbolizzazione e di significazione affettiva. È chiaro infatti che solo alcune emozioni esperite possono penetrare nella mente, essere elaborate dall’apparato psichico ed acquisire senso. Molte altre, che pure ci hanno colpito, restano depositate nell’inconscio, alcune si perdono, altre trovano nel sonno un contenitore che le raccoglie e le trasforma in immagini che vengono alla coscienza attraverso la misteriosa trama dei sogni. Noi ci raccontiamo i sogni, oltre che per condividere le emozioni evocate, anche intuitivamente alla ricerca del significato delle esperienze rimaste depositate nell’inconscio.

La capacità di sognare significa capacità di trasformare l’esperienza in segni, che poi via via possono essere “digeriti” (termine bioniano) dalla psiche e trasformati in immagini dei sogni, organizzati in racconti che attraverso le libere associazioni diventano più facilmente accessibili.

Se Freud aveva dato statuto scientifico ai sogni rivelandone specifiche proprietà e dinamiche, Bion guarda ai sogni per trarre delucidazioni anche sul funzionamento dell’apparato psichico e su come le sensazioni corporee della notte, le sensazioni, le emozioni “grezze” nelle relazioni sociali vengano trasformate ed elaborate fino a diventare comprensibili razionalmente.

 

Prezioso per capire il Social Dreaming, il Sognare Sociale di Gordon Lawrence (1998, 2001), è vedere come la ricerca di Bion punti lo sguardo sui sogni per cogliere il funzionamento universale della psiche umana, per capire come e in quali situazioni sia possibile dare senso all’esperienza. Bion amplia la visione e la estende all’esperienza umana universale.

Gli umani hanno bisogno di depositare in altri le proprie angosce a partire dalla nascita (madre, genitori, ambiente sociale nel quale vivono le famiglie). A partire dal dialogo di sguardi prima che verbale, dal pianto, dal sorriso è la madre la prima interprete delle paure del bambino e lo aiuta a dare un nome ad esse, togliendole dall’angoscia dell’ignoto, dello sconosciuto. Via via nel tempo cerchiamo altre condivisioni, altri sostegni e il Social Dreaming è uno dei contenitori sociali (non più individuali, privati) che Gordon Lawrence ha individuato. I sogni, condivisi collettivamente, possono acquisire significati che si riferiscono all’ambiente, alla cultura che inquadra le istituzioni che organizzano la nostra vita sociale, darci informazioni che la coscienza individuale ancora non ha afferrato.

I sogni non diventano allora “più leggibili” solo dallo psicoanalista ai fini di conoscere i conflitti dei pazienti.

Sono le esperienze a creare conoscenza attraverso i processi di trasformazione dell’apparato psichico che dovrà “digerirle”. Così come sono le connessioni tra i sogni, le libere associazioni evocate dal racconto a creare significati e senso attraverso i processi di trasformazione messi in moto nella matrice di Social Dreaming. La matrice è lo spazio/tempo (90 minuti primi) in cui le persone che partecipano all’esperienza del Social Dreaming sono invitate a raccontare i sogni. L’individuo che narra il sogno è solo colui che lo ha colto nell’aria, nell’ambiente circostante per riconsegnarlo, libero di connettersi ad  altri sogni.

Gordon Lawrence nella prefazione a Social Dreaming: la funzione sociale del sogno (2001), apre la sua teoria sul sogno sociale dichiarando: <<i sogni sono stati una caratteristica della vita umana fin dal momento in cui l’uomo è apparso nel mondo attraverso il processo di evoluzione e la mia convinzione è che sognare/lavorare sul sogno è essenziale per il processo di evoluzione (…) Il sogno sociale tenta di rendere normale il sognare (…) I sogni per se stessi sono senza confini. Essi si espandono nel tempo e nello spazio. Sono un’esperienza emotiva presentata con delle metafore>>.

<<L’idea di Matrice è stata un’intuizione … una matrice di sogno favorisce la libera associazione. La libera associazione sovverte la realtà consensuale del nostro tempo, normale, logica, finita e orientata ad uno scopo. È il giocare, nel senso winnicottiano, con segnali, segni, significati e simboli dei sogni presentati nella matrice che illustra il significato implicito e infinito del sogno e può continuare a farlo senza fine. Questo può essere visto come rivelare il non conosciuto (…) L’infinito o il non conosciuto è presente in ogni sogno>>.

<<Può essere che, attraverso lo sviluppo del sogno sociale, che ritiene che il sogno appartenga alla matrice e non all’individuo, saremo capaci di usare i sogni come qualcosa che informa la nostra vita quotidiana in modo molto più sistematico di quanto sia accaduto finora>>. (Lawrence 2001, Prefazione Ediz. It.).

L’incontro con Cinema e Sogno

È nel 2001 che colleghi psicoanalisti mi invitano ad offrire a soci e studenti delle nostre associazioni un seminario di Social Dreaming con Gordon Lawrence a Milano.

Il SD aveva allora già suscitato reazioni alterne di entusiasmo e di diffidenza. Oggi ha risonanza e diffusione mondiale all’interno della comunità scientifica della psicoanalisi di gruppo.

Da allora ho continuato a creare occasioni nelle quali i sogni avrebbero potuto venire alla luce e dare senso ai luoghi, al tempo, alle relazioni del nostro vivere, contribuendo a introdurre il SD come seminario didattico in molti istituti di training delle scuole di specializzazione in psicoterapia.

Ho subito colto che i “sogni sociali” avrebbero potuto costituire una trama, un tessuto che consentiva di ritrovare legami sociali, affettivi perduti nell’isolamento urbano; avrebbero avuto valenze terapeutiche.

Prassi e ricerca certamente originali, che devono superare a volte resistenze e banalizzazioni.

Fu a uno di questi seminari di Social Dreaming condotti con un collega psicoanalista alla casa della Cultura di Milano, che Giancarlo Stoccoro prese parte. Da allora sviluppò in modo assolutamente originale una metodologia già introdotta da due colleghi romani (Domenico Nesci e Salvatore Poliseno). Introdusse la visione di un film che, come “un grande sogno comune”, inducesse i partecipanti ad inoltrarsi nella dimensione onirica delle Matrici di SD.

Da allora, dal 2004, ho condiviso molte iniziative di Giancarlo Stoccoro come “facilitatori” di narrazioni di sogni sociali, sia in ambito formativo che all’esterno. Gli sviluppi che il collega ha introdotto in Italia sono qui raccolti e testimoniano quante risorse umane vengano disperse cancellando il senso che la vita della notte ci invia attraverso i sogni.

Sul modo nuovo di vedere i film attraverso le narrazioni dei sogni che seguono la sua proiezione, sul contributo creativo che i sogni offrono al cinema Giancarlo Stoccoro sta da anni intensamente lavorando e ricercando.

Insieme con lui opero a che si diffonda l’idea che mai come nei loro sogni sia possibile agli spettatori riscrivere e ricreare il loro film evocato dal “grande sogno” condiviso.

 

Riferimenti bibliografici

 

Amati Sas S. (1989). Récupérer la honte. In Puget J., Kaës R. et al. (a cura di) Violence d’Etat et Psychanalyse. Dunod, Paris.

Berardt C. (1968). The Third Reich of Dreams. Quadrangle Books, Chicago.

Bion W. (1962). Learning from Experience. William Heinemann, London. Tr.it. Apprendere dall’esperienza. Ed. Armando, Roma (1971).

Bion W. R. (1974). Bion’s Brazilian Lectures 2. Imago Editora, Rio de Janeiro. Reprinted in one volume Karnac Books, London, 1990.

Bion W.R. (1962). A Theory of Thinking International Journal of Psychoanalysis 43: 306-310.

Bion W.R. (1981). A Key to A Memoir of the Future. Clunie Press, Perthshire, ed. by Francesca Bion, and also in A Memoir of the Future, Books 1-3, Karnak Books, London, 1991. Tr. It. (parziale, col riferimento soltanto al primo volume) Memoria del Futuro, Il Sogno, Cortina Editore, Milano, 1993.

Bleger J. (1967). Simbiosis y ambigüedad, estudio psicoanalítico. Editorial Paidós, Buenos Aires.

Eschilo (2006), I persiani – I sette contro Tebe. Mondadori Editore, coll. Oscar classici greci e latini

Foulkes S.H., Anthony, E.J. (1957). Group Psychotherapy: The Psychoanalytical Approach. Karnac, London.

Jankélévitch V. (1994). Penser la mort? Éditions Liana Levi, Paris. Tr. it.  Pensare la morte?. Raffaello Cortina Editore, Milano 1995.

Jung  C.G . (1961). Erinnerungen, Träume, Gedanken von C.G. Jung. Rascher Verlag, Zürich. Tr. it.  Ricordi, sogni, riflessioni di C.G. Jung. BUR, Milano 1978.

Kaës R. (1996). La parola e il legame. Processi associativi nei gruppi. Borla, Roma.

Lawrence W.G. (1998). Social Dreaming @ Work. London: Karnac Books.

Lawrence W.G. (2001). Social Dreaming: la funzione sociale del sogno. Edizione Borla, Roma.

Pines M. (1997). The biological roots of Group Analysis. Paper given at the Heidelberg Iust of Group Analysis.

Rouchy J.C. (1987). Identité coulturelle et groupe d’appartenance Rev. De Psychoth. Psychanalytique de groupe 9-10: 31-41.

[1] di Giancarlo Stoccoro, Fioriti editore, Roma 2012, pp. 135-143.

Categorie: Saggi

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